Il protagonista vive una e insieme tre vite: nella prima parte è un seminarista silenzioso, nella seconda un attivista rivoluzionario, nella terza uno scrittore sotterraneo. Ma in questo romanzo si scorgono in filigrana anche gli ultimi decenni del secolo appena trascorso: nella prima parte gli anni Cinquanta e Sessanta, gli anni sepolti che precedono le esplosioni del decennio successivo; nella seconda gli anni Settanta, delle lotte e dei tumulti, la chiusura di un'epoca iniziata con le grandi rivoluzioni politiche dell'Ottocento e del Novecento; nella terza gli anni Ottanta e Novanta e quelli che stiamo vivendo, abbagliati e spettrali, gli anni dell'immagine, della moda, dell'apparenza e della duplicazione della vita e del mondo. Animato da un'inesauribile ricchezza di invenzioni e immagini e da un'ininterrotta tensione conoscitiva, sostenuto da una prosa ipnotica, irradiante e intensa, estraneo ai codici della comunicazione corrente e simile a un oggetto alieno capitato non si sa come nella nostra letteratura, questo libro è attraversato da un sentimento devastato e aurorale del mondo visto in drammatico e perpetuo esordio.
Le informazioni nella sezione "Riassunto" possono far riferimento a edizioni diverse di questo titolo.
Moresco: gli esordi di tre vite estreme
Bruno Quaranta, Tuttolibri - La Stampa
Milano. Un gran ballo, un girotondo di celebrità segna l'ingresso in società di Antonio Moresco, soldato strenuo di se stesso e di una certa idea dello stare sulla pagina, nella pagina, orgini mantovane (1947), una ormai lunga militanza, ancorché in trincea, ancorché, alfierianamente, avvinghiato al tavolo, in questa "grande città dell'emisfero boreale". Ecco Gli esordi, la scommessa rinnovata giorno dopo giorno negli Anni Ottanta, un romanzo fluviale, di quelli che credevamo per sempre scomparsi, i titani che - restiamo nel nostro secondo dopoguerra - crebbero nelle officine di un Volponi (Corporale) e di uno Stefano D'Arrigo (Or cynus Orca). Ottocento cartelle ha scalpellato Antonio Moresco. E offerto di qua e di là, ottenendo diciotto rifiuti. Sino al sì di Gabriella D'Ina, direttore editoriale di casa Feltrinelli, "sigillato in una lettera consegnatami a mano. Che cosa ho provato? È come essere afferrati per i capelli mentre si sta annegando". Una sfida in partes tres, la religione, la rivoluzione, l'arte, un epilogo danzante, una festa mobile che convoca Aleksandr Puskin nel "vestito attillato", lo scrivano Bartleby, Leopardi "con quel doppiopetto un po' sbilanciato", Pascal "con quel piccolo smoking e il farfallino", e addirittura Cervantes! "Nessuno mi invitava, così mi sono invitato" respira, sospira, garbatamente e insieme spavaldamente si ribella al destino dispari questa figura - ecco un'eco del gran ballo - bartlebyana, non mondana, sorda alle sirene, fedelissima a una profetica voce interiore. Se l'attesa di veder pubblicato Gli esordi non ha minato oltremodo l'equilibrio psicofisico di Antonio Moresco, se Antonio Moresco ha potuto attraversare il deserto non lasciandosi travolgere, chi ringraziare? "Giulio Bollati, che non esitò a credere in me, che accolse nel suo catalogo tre miei libri, che mi onorò di parole nobili. Io lo stavo ad ascoltare, rappreso, ipnotizzato, non svelando un'emozione, un barlume d'orgoglio. E lui: "Ma non creda che dica a tutti simili cose"". È una sorta di Edmond Dantes che esce dal cunicolo, Antonio Moresco. Porge un biglietto, alla maniera del Conte di Dumas: "Questa situazione di rigetto e di chiusura così blindata, per così tanti anni, per gran parte della mia vita, mi ha portato a concepire e a collocare il mio lavoro e la mia tensione a un tale grado di interferenza da configurarsi ogni volta come un esordio". Scene del silenzio, scene della storia, scene della festa. Un seminarista, un guerriero (un rivoluzionario), un artista. Antonio Moresco modella tre personaggi (e un nugolo di comparse, non minori, essenziali, che si ostinano, a opera chiusa, a vorticare, a seminare impronte, a reclamare attenzione, come la Pesca, la Beatrice "fou" di tale Commedia). Tre fratelli d'Italia, di un'Italia disossata, tritata, trasfigurata, elevata a metafora di una condizione umana che di umano ha unicamente l'urgenza, l'imperativo, la vocazione di scardinare le millenarie croste, le statue di sale, le ataviche parole d'ordine. Tre eccezioni alla "gente che guarda fuori dalla finestra e non sa neanche se uscire di casa, se restare, e non pensa a niente e non ha certo in mente che si possano rompere di colpo i patti col mondo, l'universo...". Tre coppie di pupille schiera Antonio Moresco. Impeccabile, inesorabile, meticoloso, di una meticolosità ariostesca, rigattiere e scrutatore di cose e di anime. Non arreso all'ecole du regard: "Non mi appartiene l'occhio analitico, razionale, controllore. È la visonarietà, che esige (anche) l'esperienza della cecità, ad arruolarmi, non la visività". La luce che inonda Gli esordi non illumina, abbaglia, crea effetti specialissimi eppure mai virtuali. Tre personaggi in cerca, in attesa della "chiamata". Di Dio? Della rivoluzione? Del lettore? Il seminarista - avanzando fra meraviglie stile Lewis Carroll e blasfemie landolfiane ed estasi fiamminghe, alla Hieronymus Bosch, e purificazioni gotiche: i gatti che "piombavano giù dalla muraglia", che "ficcavano il muso tra le fiamme per addentare le budelle roventi", che fuggivano "verso l'orto con quei fiocchi di fuoco ancora vivi" -, ebbene: il seminarista giunge a rovesciare il li bera nos a malo: "Oh Signore non liberarmi mai da nulla, perché possa vivere al di là di ogni liberazione". Il guerriero - un esemplare dell'esercito invisibile: "Lasciavamo il paese un istante prima che la folla fosse riuscita a vederci veramente" - districandosi fra vacui comizi, topi, ragnatele, caduche sedi, "salvato" solo dalla fabula (l'imbalsamatore di Lenin), arroterà il dubbio, esso sì, esplosivo: "Non so neanche più di chi sono l'emissario, chi mi manda...". L'artista è uno scrittore inedito arenatosi in un editore ora entusiasta di dare alle stampe ora recalcitrante, un'altalena di sì e di no che conoscerà la superiore sintesi nel no di elogio vestito: "E se compito dell'editore fosse, oggi, proprio quello di non pubblicare una simile cosa, se ha la straordinaria fortuna di incontrarla sulla sua strada, se tutto il suo lavoro fosse alla fine giustificato solo da questo suo gesto di preclusione, per qualcosa che non ci si può neanche gettare così allo sbaraglio da arrivare in qualche modo a pensare, a immaginare?". Gabriella D'Ina, la Feltrinelli, non ha esitato a smentire l'editore azzeccagarbugli immaginato (a immagine e somiglianza di molti, di troppi) da Antonio Moresco. "Procedere per esordi, per sfondamenti, riaprire gli spazi che si chiudono, entrare nei regni dove si scompare e insieme si appare...". Il catalogo può, deve essere anche questo.
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