"Ehi! Oh! Mi ascolti? Concentrati un po', santo dio! Piantala di ronfare nella pancia di tua madre. Dopo tutto ti sto presentando la tribù che ti accoglierà!". È Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio, che parla a Signor Malaussène, suo figlio in procinto di nascere, per presentargli la tribù Malaussène, la sua futura famiglia. In una Belleville assediata dagli ufficiali giudiziari, qualcuno oppone una strenua resistenza. Al centro dell'azione il cinema Zèbre, dove si vorrebbe proiettare, una sola volta prima che venga distrutto, il Film Unico di un vecchio e celebre produttore cinematografico.
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Pennac come un fumetto. Perché piacciono i Malaussène
Giovanni Bogliolo, Tuttolibri - La Stampa
Per Daniel Pennac il verbo leggere non ha segreti: uno - la sua particolarità di non lasciarsi, come il verbo amare e il verbo sognare, coniugare all'imperativo - ce l'ha rivelato qualche anno fa in un amabile saggio che si chiamava (e si leggeva) Come un romanzo; gli altri invece, quelli che consentono di compensare questo difetto e di trasformare la lettura da dovere a piacere se li è tenuti per sé e li continua a sfruttare per garantire crescenti e straordinarie fortune ai suoi romanzi. È come se lo scopritore della regola si fosse riservato il diritto a un'eccezione, come se l'imperativo leggi! sopportasse un unico complemento oggetto e solo nell'espressione "leggi Pennac!" perdesse il suo valore dissuasivo. Sta di fatto che, da dieci anni a questa parte, chi si è imbattuto in qualche pagina dello scrittore ne è diventato un fervente lettore e, il più delle volte, s'è messo a far proseliti e a scambiarsi segnali di connivenza con la folla sempre più nutrita degli altri suoi fedeli.
Il fenomeno è molto complesso, perché Pennac non è uno scrittore corrivo né un banale confezionatore di best seller; e, grazie alla briosa e consonante inventiva della traduttrice Yasmina Melaouah, concerne ormai pienamente anche il pubblico italiano. Sia il saggio sulla lettura sia i primi tre volumi della saga dei Malaussène - Il Paradiso degli orchi, La fata Carabina e La Prosivendola - sono stati accolti con grande favore. Ora è bastato che, dopo una pausa piuttosto lunga, ne uscisse il quarto e (pare) ultimo volume - Signor Malaussène - perché si assistesse a un miracolo che non si ripeteva dai tempi de L'amante di Marguerite Duras: un romanzo francese al vertice della classifica dei libri più venduti.
Dopo la serie di vicende mirabolanti e truculente di cui è stata protagonista e più spesso vittima, la tribù è un poco malconcia e decimata. Il suo capo carismatico ed eroe eponimo, Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio, è appena uscito da un coma irreversibile grazie a un trapianto plurimo di organi prelevati dall'uomo che l'aveva voluto assassinare. La sua donna, Julie, per le tracce indelebili delle torture subite, ha ormai la pelle di una leopardessa. Sua madre, riemersa indenne dall'ennesima fuga d'amore, non ha più "il cuore immediato e il grembo generoso" che l'avevano fatta entrare nella leggenda. Il cane Julius, sempre più epilettico e puzzolente, ha preso il vizio di scandire con uno schiocco di mandibole ogni tre minuti l'inesorabile scorrere del tempo. Lo zio Stojil, quello che traduceva Virgilio in serbo-croato, è addirittura morto di un cancro al polmone perché, per non fare un affronto alle sue Gitanes, non ha voluto smettere di fumare. Ma le batoste subite non sono bastate a salvare i loro conti col destino né a fiaccare il loro coraggio; continuano imperterriti tutti questi a cacciarsi nelle più intricate e disperate avventure, a provocare e scongiurare disastri, a far buon viso alla più nera delle sorti e a distillare dai più improbabili eventi inopinate e sconcertanti verità.
Nell'euforia della sua resurrezione, Benjamin ha addirittura messo incinta Julie, ma se ne è subito pentito, e le prime cento pagine del libro sono una sorta di "lettera a un bambino mai nato" piena di resipiscenze e di pressanti inviti a non venire in questo basso mondo. Poi però, un po' perché un aborto criminoso vanifica paure e aspettative, un po' perché gli eventi concomitanti subiscono una repentina accelerazione, questo filo delicato si spezza e, tra i tanti che s'intrecciano, due prendono il sopravvento, entrambi legati al tema dell'immagine, della realtà e delle sue più o meno illusorie ed effimere rappresentazioni.
Siamo, come sempre, a Belleville, quartiere come tanti altri minacciato da quei "criminali di pace" che sono gli urbanisti, i sindaci, gli assessori, palazzinari e tutti quelli che con essi collaborano per trasformare luoghi della memoria in invivibili periferie. Six la Neve, il fabbro cocainoname che di giorno lavora per l'ufficiale giudiziario e di notte aiuta gli sfrattati, fa di tutto per resistere al degrado: ripetendo il gesto di Maupassant che frequentava il ristorante della Tour Eiffel perché era l'unico posto di Parigi da cui non vedeva quel gigantesco traliccio, si è trasferito in un orribile palazzo di plastica metallizzata e, per salvare almeno la memoria del suo quartiere, se l'è fatto tatuare tutto quanto sul suo corpo. Intanto gli altri della tribù si coalizzano per salvare dal piccone il cinema Zebre, cuore e simbolo di Belleville, ma anche luogo destinato alla rappresentazione, riservata a uno strettissimo gruppo di cinefili, del Film Unico che Job e sua moglie Liesl hanno girato nel corso della loro lunga vita e che, dopo quell'evento irripetibile, dovrà essere distrutto. Naturalmente a queste forze del bene si contrappongono quelle oscure e strapotenti del male: perversi collezionisti d'arte che fanno sparire prostitute per impadronirsi delle riproduzioni di Cranach o del Pontormo che portano tatuate sulla pelle; artisti folli che rendono invisibili i monumenti; medici insospettabili che alterano i responsi delle analisi. Per non parlare del destino che continua a fare di Benjamin la vittima designata e insieme l'indiziato ideale di ogni misfatto. Il tutto condito di trovate suggestive (il divo del sonoro che non impressiona la pellicola del muto) di calembours esilaranti ("La vita non è tutta cirrosi e fiori") di fulminanti, disincantati aforismi: "La tolleranza è la prudenza eretta a metafisica"; "Negoziare significa lasciare alla guerra il tempo di fare la Storia".
Di che ripagare insomma della lunga attesa i fan di Malaussène e alimentare il loro culto. Ma anche di che riflettere sulla solida e sagace impalcatura narrativa che il romanziere ha camuffato sotto le sgangherate avventure dei suoi personaggi (in questo quarto volume c'è perfino una mise en abyme, il piccolo Jeremy che si spaccia per autore dell'intera quadrilogia). Questo per quando la critica avrà perdonato a Pennac il divertimento che regala e il successo che ottiene e gli riconoscerà almeno il merito di aver rivitalizzato le languenti fortune del romanzo francese con gli estrosi umori del cartone animato e del fumetto.
Milano, Feltrinelli, 1995, 16mo brossura con copertina illustrata a colori, pp. 444
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Da: BFS libreria, Ghezzano, PI, Italia
Copertina morbida. Condizione: Buono. 4. ed. 444 p. ; 20 x 13 cm. Universale Economica Feiltrinelli, 1433. «Signor Malaussène» è il quarto romanzo del ciclo di Malaussène, scritto da Daniel Pennac. Come nei romanzi precedenti, il protagonista è Benjamin Malaussène assieme alla sua numerosa famiglia. Nel romanzo, a metà tra il giallo psicologico ed il grottesco, la drammaticità delle storie di vita quotidiana del clan Malaussene si intreccia con quella di meretrici pentite, riportate sulla retta via da una suora iperattiva che si trasforma in un poliziotto instancabile e determinato per far luce sulla misteriosa scomparsa di alcune delle sue pecorelle smarrite. Il romanzo è un viaggio doloroso all'interno dell'animo umano, fatto attraverso i ricordi personali e collettivi dei personaggi che lo compongono, attraverso la loro umanità e compassione reciproca. Titolo originale dell'opera: «Monsieur Malaussène». Traduzione di Yasmina Melaouah. Brossura editoriale, coperta illustrata a colori in cartoncino flessibile. Codice articolo 5437
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