"Ora che il futuro s'era fatto corto e mi sfuggiva di mano con l'inesorabilità della sabbia che cola dentro una clessidra, mi capitava spesso di pensare al passato della mia esistenza: cercare lì le risposte con le quali sarebbe giusto morire. Perché fossi nata, perché fossi vissuta, e chi o che cosa avesse plasmato il mosaico di persone che da un lontano giorno d'estate costituiva il mio Io." Così comincia questa straordinaria epopea della famiglia di Oriana Fallaci, una saga che copre gli anni dal 1773 al 1889, con incursioni nel passato e in un futuro che precipita verso il bombardamento di Firenze del 1944. È una storia dell'Italia rivoluzionaria di Napoleone, Mazzini, Garibaldi, attraverso le avventure di uomini come Carlo che voleva piantare viti e olivi nella Virginia di Thomas Jefferson, Francesco marinaio, negriero e padre disperato, e donne indomite come la Caterina che alla fiera di Rosìa indossa un cappello pieno di ciliege per farsi riconoscere dal futuro sposo Carlo Fallaci, o come una bisnonna paterna, Anastasìa, figlia illegittima, ragazza madre, pioniera nel Far West. Dopo anni di ricerche, l'autrice ha visto la cronaca familiare trasformarsi in "una fiaba da ricostruire con la fantasia": "la realtà prese a scivolare nell'immaginazione e il vero si unì all'inventabile poi all'inventato... E tutti quei nonni, nonne, bisnonni, bisnonne, trisnonni, trisnonne, arcavoli e arcavole, insomma tutti quei miei genitori, diventarono miei figli".
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L’estrema sfida della Fallaci: un mosaico parentale che riconduce alla sua persona, composto con maniacale ricognizione e bella lingua.
Lorenzo Mondo, Tuttolibri - La Stampa
Oriana Fallaci esprime limpidamente le ragioni per cui, nell’ultimo scorcio della sua vita, già posseduta dal cancro, si è dedicata a erigere la monumentale saga della sua famiglia: ora pubblicata, postuma, con il titolo Un cappello pieno di ciliege. Intendeva ricomporre, fin dove possibile, il mosaico parentale che, attraverso l’eredità dei cromosomi, conduceva alla sua persona: «Nascere non è forse un eterno ricominciamento e ciascuno di noi il prodotto d’un programma fissato prima che incominciassimo, il figlio d’una miriade di genitori?».
Il bandolo di questa vicenda secolare viene afferrato in un paesino del Chianti situato a mezza strada tra Siena e Firenze, negli anni in cui si affacciano la Rivoluzione americana e quella francese. E’ là che si accampa, in un ambiente di poveri mezzadri, la figura di Caterina, che dal sangue di un’ava bruciata dall’Inquisizione ha preso il temperamento indomito e trasgressivo. Legge libri proibiti; contro le leggi suntuarie che mirano a perpetuare le barriere sociali, indossa abiti scandalosi, adorni di fronzoli e vezzi; incanta i villici smerciando alla fiera i frivoli «tubi di decenza», le mutande da donna alla moda di Francia; e per farsi riconoscere dal futuro sposo inalbera al mercato un cappello pieno di ciliegie. Sempre lei scaglierà a Firenze una violenta, plebea invettiva contro Napoleone che passa in carrozza e che nel libro di Oriana diventa il simbolo di ogni tirannide. Questa «arcavola» è l’eroina con la quale Oriana si identifica senza riserve, mentre si riconosce talora con disagio - provandone perfino vergogna - in altri personaggi, anche se non nega a essi una superiore pietà per gli impulsi generosi che li muovono e per il destino di eterni sconfitti.
Sono molti i suoi antenati dal profilo insolito e avventuroso. Francesco Launaro è un marinaio livornese che insegue con cupa ossessione il sogno di vendicare la morte del padre, rapito dai pirati algerini: ne sgozzerà venti, uno per ogni anno della sua schiavitù. E per mantenere la famiglia non esita a comandare navi negriere. Giovanni Cantini accetta di rimpiazzare dietro compenso un coscritto dell’esercito francese e combatte in nome dell’odiato Napoleone contro la furibonda guerriglia spagnola. Al ritorno, deve riconquistare con affannosi sotterfugi la donna amata che, credendolo morto, ha sposato suo fratello. Aderisce alla Carboneria, che si mostra particolarmente settaria nella Toscana sottoposta al quieto, bonario regime degli Asburgo-Lorena. Sicché, deluso sul piano pubblico e privato, scompare, facendo perdere le sue tracce. Il figlio Giobatta combatte eroicamente contro gli austriaci a Curtatone e Montanara, ma s’intruppa dopo Novara con i più violenti fautori della Repubblica toscana, scontando nel fisico e nel morale i suoi trascorsi di «fascista rosso». Da Marguerite, cresciuta nelle severe valli valdesi, e da un esule polacco, nasce Anastasìa che, figlia illegittima e poi ragazza madre, inseguirà fino in America il suo sfrenato desiderio di libertà. La sua carriera si svolge tra i pionieri, i biscazzieri e i bordelli del West, fino a quando sentirà il rimorso delle sua creatura affidata alla ruota dei trovatelli, e tornerà in Italia, senza evitare una tragica fine. I ribelli della Fallaci risultano in diversa misura sconfitti, più che dalla forza delle circostanze e dai loro démoni, dall’«insensato guazzabuglio che ha nome Storia» e che tradisce ogni volta le loro speranze.
Questa ricerca degli antenati è impressionante per la sua dedizione perfino maniacale. Riaccende leggendarie memorie familiari, mette sottosopra archivi e biblioteche, effettua ricognizioni in ogni parte del mondo e ricostruisce con minuziosa aderenza gli avvenimenti storici che accompagnano le vicende dei suoi personaggi. Senza negarsi indugi enciclopedici sulla moda, le tecniche di navigazione, la botanica, la medicina, le scoperte scientifiche che - dalle navi a vapore alle ferrovie, alle lampade elettriche - schiudono la via della modernità.
A ravvivare i ricordi, provvedono i cimeli conservati in una antica cassapanca che sarà distrutta in un bombardamento del ‘44. La cassapanca, un elemento di per sé romanzesco, lascia intuire quanto abbia giocato in questa saga familiare, rimediando alle lacune e accentuando i colori, il gioco dell’immaginazione. Che rende possibile, attraverso la creatività della scrittura, il rovesciamento attraverso cui tutti i genitori di Oriana diventano suoi figli: «Perché stavolta ero io a partorire loro, a dargli anzi ridargli la vita che essi avevano dato a me».
Va da sé che il punto d’arrivo di questo libro rimasto incompiuto (si arresta al 1889) sarebbe stata Oriana, in lei e nelle vicende della sua vita si sarebbero rispecchiati con superbo egotismo i risentimenti e le passioni di intere generazioni.
Un cappello pieno di ciliege, anche dove pretende di essere nudamente referenziale, è scritto con il piglio autoritario e la foga da toscanaccia impunita che contraddistinguono la Fallaci. I suoi modelli, per l’impianto e le stesse digressioni, sono i grandi feuilletons dell’Ottocento, tra Hugo e Dumas. Certo, per la mole e l’intrico genealogico ci guadagna a essere accostato per segmenti, per storie separate che si fanno apprezzare grazie alla bella lingua, alla forza nativa delle emozioni, alla dovizia di informazioni, e gli procureranno, come già sta accadendo, legioni di lettori.
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