"Libro salvato" dopo un lungo lavoro filologico, questo volume conclude l'autobiografia di Canetti con gli anni dell'emigrazione in Inghilterra. Un paese che suscita in lui reazioni contrastanti: ammirazione per i suoi istituti democratici e per il coraggio mostrato contro Hitler, ma anche insofferenza per la britannica arte di escludere, per l'altezzosa condiscendenza esibita verso gli apolidi della cultura. "Ma Lei ha conosciuto Kafka?" gli chiede l'insolitamente benevolo ospite di un party. Accade così che Canetti, negli anni roventi in cui elaborava "Massa e potere", vivesse in una paradossale situazione di solitudine intellettuale, pur abitando in una città di alta tradizione come Londra.
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Canetti, eccentrico Lord
Luigi Forte, Tuttolibri - La Stampa
Forse Elias Canetti non fu l'autore di lingua tedesca che tutti conosciamo, da collocare nel Pantheon mitteleuropeo vicino a Broch, Musil, Kraus. Forse è stato un intellettuale inglese, anzi londinese, di quelli che amavano il quartiere cosmopolita di Hampstead, dove nel 1938 era approdato anche Freud. Almeno questa è l'impressione che si ha dopo aver letto Party sotto le bombe. Gli anni inglesi, il delizioso zibaldone tradotto egregiamente da Ada Vigliani, con una lucida postfazione di Jeremy Adler.
Doveva essere l'ultimo volume di quell'autobiografia che ha coniugato in fasi diverse le metamorfosi dell'intellettuale Canetti con le tragedie del Novecento. Non a caso ambientato in Inghilterra, dove lo scrittore visse più a lungo che in qualsiasi altro Paese. E' ormai ottantacinquenne quando nel 1990 butta giù i primi appunti: «Non vedo ancora un ordine in questi ricordi - confessa tra le righe -, ma solo un pullulare di gente, modi di dire, destini, offese ed emozioni».
Lo scrittore non farà più a tempo a dare forma definitiva a quel passato, ma i manoscritti rimasti dopo la sua morte nel 1994 hanno permesso al curatore Kristian Wachinger di offrire, nonostante talune ripetizioni, una stesura più che soddisfacente.
Il piccolo Elias, ebreo sefardita, che già parlava bulgaro e spagnolo, imparò a leggere in inglese: Gulliver, Robinson Crusoe furono i suoi eroi nel breve periodo in cui la famiglia soggiornò a Manchester. Poi vennero Vienna, Zurigo, Francoforte, Berlino. E nel 1939, con la moglie Veza ritornò a Londra, in quell'Inghilterra che non tarderà, pur con tutti i suoi limiti, a trasformarsi in una vera patria e, ai suoi occhi, negli anni della guerra, in un «bastione contro la follia». Ma soprattutto in una grande, folgorante stagione della vita, in cui il «signor Nessuno», autore di uno splendido e allora sconosciuto romanzo, Auto da fé, diventa un acclamato premio Nobel.
Nell'amata Albione Canetti si dedica anima e corpo al vasto studio antropologico su Massa e potere. Un'esule che insegue un'ossessione. Ma anche, da sempre, un «segugio del suo tempo», come amava definirsi, con una spiccata predilezione per il bizzarro e l'eccentrico. Basta pensare a talune figure di Party sotto le bombe come lo spazzino di Chesham Bois, assiduo lettore della Bibbia, o all'inappuntabile maggiordomo di un lord scozzese, che indossa le toilette parigine della sua padrona per danzare davanti allo specchio. E poi i signori Milburn, affetti da strane manie religiose, che pensano di ripararsi sotto il tavolo da cucina per sfuggire ai bombardamenti. Voci e volti, che riaffiorano nel vecchio Canetti in una brillante, umorale diario zeppo soprattutto di grandi figure intellettuali e di artisti: da Bertrand Russel, un satiro «con la risata di un caprone», a Arthur Waley, da Kokoschka a Moore. E anche in questo caso non si tratta di una semplice galleria di ritratti, ma dell'atmosfera di un'epoca, di un clima culturale, il cui bon ton nemmeno le bombe di Hitler riescono a scalfire. Un mondo che filtra a Canetti da personaggi come Kathleen Raine e Veronika Wedgwood, o come il giovane Sir Aymer Maxwell, che gli fu amico e mecenate negli anni difficili.
Invitato ai loro party, lo scrittore, che la Murdoch definì «famoso senza che si sappia esattamente perché», è a disagio come un principiante. Impara a detestare la superbia degli inglesi, che si «avvolgono nel ghiaccio» per proteggersi. Ne biasima l'aridità, «quella vita da mummie pilotate», dove moderazione e rettitudine sfociano nell'impotenza del sentimento. E si accanisce contro Th. S. Eliot, a suo parere l'intellettuale più arido del secolo, corifeo di una cultura della freddezza insensibile al mondo romantico e a un genio poetico come Blake.
Party sotto le bombe è anche un esempio di sublime gossip, in cui una sottile cattiveria si sposa con un accattivante humour e il piglio diretto del polemista. Ne sa qualcosa Iris Murdoch ritratta con smodata crudeltà. Ma ne fanno le spese anche il grande critico William Empson e, con molte note di biasimo, Margaret Thatcher. Solo talvolta il vecchio Canetti si commuove: ricordando, nella dissolvenza della vita privata, la giovane allieva e amante Friedl, creatura luminosa e gaia, o l'amico antropologo Franz Steiner. E, per una strana alchimia del cuore e della memoria, anche lo spazzino di Chesham Bois, l'unico in quella landa per il quale - confessa - «provassi vero affetto».
Traduzione di Ada Vigliani, 250 p., f.to cm 22x14, brossura con alette, come nuovo.
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Softcover. Condizione: Near fine. Biblioteca Adelphi 484. 250 p. 22 cm. Paperback. Rear flap price clipped. Italian text. The controversial memoir of Nobel Prize winner Elias Canetti, written during his life in World War II London. Codice articolo 132590
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