Come e perché sono sorte le culture? Come si spiega lo sviluppo di pratiche, strumenti e idee quali le arti, l'indagine filosofica, le regole morali e le fedi religiose, la giustizia, i sistemi di governo, l'economia, la tecnologia e la scienza? Perlopiù si risponde a questa domanda invocando una caratteristica peculiare della nostra specie, il linguaggio verbale, insieme ad altri tratti quali l'elevato grado di socialità e un intelletto superiore. Una spiegazione a prima vista ragionevole, eppure carente, giacché trascura il ruolo che i sentimenti e le emozioni svolgono nel motivare le azioni individuali e collettive che danno origine alle culture. Ma c'è di più: se negare a mammiferi e uccelli i sentimenti collegati all'emozionalità, e quindi la coscienza, è tesi ormai insostenibile, ci aspetteremmo tuttavia che pratiche e strumenti culturali fossero possibili, data la loro complessità, solo iti creature molto evolute, dotate di una mente e di una organizzazione cerebrale di livello superiore. Non è così. I sentimenti traggono infatti il loro potere da un principio di regolazione della vita, l'omeostasi, che è riscontrabile in ogni organismo e che gli consente non solo di perdurare, ma di prosperare. Essa è il filo invisibile che unisce le nostre menti al brodo primordiale in cui la vita ebbe inizio. Scopriamo così, non senza stupore, che i batteri, organismi unicellulari privi di mente e di cervello, hanno regolato per miliardi di anni la propria esistenza seguendo uno schema automatico che prefigura comportamenti usati dagli esseri umani nella costruzione delle culture, incluse forme avanzate di socialità e di cooperazione. Se le cose stanno così, l'inconscio umano affonda le radici più in profondità e più lontano di quanto Freud e Jung abbiano mai immaginato.
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«La ricerca strategica della felicità si basa sui sentimenti, proprio come una ricerca spontanea. Sono i mali della vita (e i loro piacevoli contrappesi) a spingerci verso di essa; senza i sentimenti non vi sarebbero motivazioni. L'esperienza del dolore e la chiara coscienza dei nostri desideri han- no portato i sentimenti, buoni o cattivi, a convergere sull'intelletto, gli hanno dato uno scopo, e l'hanno aiutato a creare nuo- ve modalità di regolazione della vita. L'al- leanza dei sentimenti e dell'intelletto ha formato una potente alchimia, che ha per- messo agli esseri umani di tentare di rag- giungere l'omeostasi con mezzi culturali, invece di rimanere prigionieri dei disposi- tivi biologici fondamentali. Questo tenta- tivo era in pieno svolgimento quando, in oscure caverne, i nostri progenitori canta- vano e costruivano i flauti e – immagino – si servivano della musica per ammaliare o per confortare; quando Mosè ricevette le Tavole della Legge su una montagna o quando Buddha concepì il Nirvana; quan- do Confucio enunciò i suoi precetti etici o quando Platone, Aristotele ed Epicuro, nell'agorà, cominciarono a spiegare ai con- cittadini ateniesi come vivere una vita de- gna di essere vissuta».
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