Riassunto:
Tutto ebbe inizio quando Milton Rokeach, psicologo sociale dell'ospedale pubblico della città di Ypsilanti, Michigan, decise di riunire nello stesso posto tre schizofrenici di tipo paranoide: Clyde Benson, un contadino settantenne con gravi problemi di alcolismo; Joseph Cassel, uno scrittore fallito internato per deliri e violenza domestica e infine Leon Gabor, un seminarista mancato e veterano della Seconda guerra mondiale. I tre uomini avevano una cosa in comune. Credevano tutti di essere Gesù Cristo. Il loro straordinario incontro e i due anni trascorsi insieme condividendo i pasti, i turni in cucina, in lavanderia e le riunioni quotidiane sono la base per un'affascinante investigazione sulla natura delle credenze e delle esistenze umane. Un eccentrico viaggio all'interno della definitiva contraddizione concepibile per un essere umano: trovarsi di fronte a qualcuno che reclama la tua stessa identità. Svelando un talento da romanziere, Milton Rokeach ci guida nelle tormentate vite dei tre uomini, consegnandoci molto più che un freddo resoconto analitico.
Recensione:
Era il 1964 quando negli Stati Uniti uscì per la prima volta The Three Christis of Ypsilanti. Seguirono diverse edizioni e interminabili polemiche. Nessuno però si stupì perché l’idea di partenza dello psichiatra Milton Rokeach partiva da una provocazione e si concretizzava in un esperimento. Cominciato nel 1959 e conclusosi nel 1961, l’esperimento in questione era semplice, particolarmente suggestivo e decisamente titanico: consisteva nel mettere nella stessa struttura, spingendoli al confronto, tre pazienti psichiatrici convinti di essere Gesù Cristo. “Il mio obiettivo principale era esplorare il processo attraverso cui il loro sistema di credenze deliranti e il loro comportamento potesse cambiare se fossero stati messi a confronto con la massima contraddizione percepibile per un essere umano: diverse persone che rivendicano la stessa identità” annota Rokeach. Ma il libro non è soltanto questo, anzi. Seguendo la storia di Clyde Benson, Joseph Cassel e Leon Gabor – diversi per età, ceto e background – è impossibile non immedesimarsi nelle fragilità dell’uno, nelle aspirazioni dell’altro; è impossibile non riconoscere nelle suppliche (“Voglio essere me stesso”) e nelle assurde convinzioni (“Io so chi sono. Sono Dio”) che si succedono nel libro quel senso di smarrimento personale che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato. Continue e altalenanti sono le domande che si è costretti a porsi, e che riguardano i sistemi di credenze primarie e secondarie che formano l’uomo, generando a cascata dubbi sul proprio sé e sul modo di intendere un noi collettivo, sull’identità e sull’“erosione dell’identità”, sull’universalità dell’ideologia personale e collettiva perché, in fondo, il “rebus dell’identità” è tanto suggestivo, quanto irrisolvibile. Non mancano poi riferimenti poetici, suggestioni (“Ogni persona è una casa” o “Sono Dio e ho uno psichiatra”), e travolgenti esempi di quella spettacolarità involontaria e dolorosa che viene generata dalla psicosi. Fandango propone il testo – cui forse avrebbe giovato una maggiore attenzione nella revisione – con l’interessante introduzione di Rick Moody, preziosa per ricostruire il tempo di deistituzionalizzazione – “la rimozione delle persone affette da malattie mentali dalle strutture psichiatriche gestite dallo Stato” – e gli anni in cui l’esperimento venne portato avanti, svelando come in parte questo fu suggerito da uno scritto di Voltaire riguardante Simon Morin che, convinto di essere Gesù Cristo, venne ricoverato ne’ Pazzarelli dove un altro pazzo credeva di essere il Padre Eterno: “Simone Morino rimase così sorpreso dalla follia del suo compagno, che riconobbe la sua”. Non durò a lungo. Proprio come la lucidità che sfiorò, a più riprese, I Tre Cristi di Milton Rokeach cui nella lunga lettura – che a tratti si dimostra comprensibilmente ripetitiva, a tratti esageratamente specialistica – non è possibile non affezionarsi e, per alcuni lunghi passi, perfino innamorarsi. Anche se, come Rokeach appunta nella postfazione firmata vent’anni dopo l’uscita del libro, il confronto che genera il cambiamento difficilmente è quello con gli altri, più frequentemente è il “confronto con se stessi”.
recensione di "www.bookdetector.com"
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